Di Antonella Pederiva
Dare un senso all’apparente non-senso della malattia psichica. Restituire dignità al disagio psicologico di colui che, pari ai sofferenti di altre patologie, è un malato bisognoso di attenzione e di cure. Per tantissimi anni, ancora oggi, anche se in misura minore, il malato psichiatrico è stato visto con sospetto, allontanato, emarginato. Spesso, purtroppo, trascurato, con le inevitabili conseguenze che ne sono seguite. Non c’è dubbio che la Legge Basaglia, sia stata una legge giusta. Prima di essa, infatti, per coloro che presentavano disturbi della personalità e atteggiamenti definiti “strani” o “inconsueti” dalla comunità, l’unico destino era l’internamento nei manicomi, di frequente, veri e propri lager detentivi dove potevano subire maltrattamenti e vessazioni. Una realtà descritta bene da Alda Merini, la poetessa dei Navigli, nella sua “Terra Santa”, con versi pregni di sofferto sentimento.
“Il dolore è senza domani” , scriveva Merini, “è un muso di cavallo che blocca i garretti possenti”, e ancora “viene il mattino azzurro/ nel nostro padiglione:/ sulle panche di sole/ e di crudissimo legno/ siedono gli ammalati,/ non hanno nulla da dire/ odorano anch’essi di legno,/ non hanno ossa né vita/ stan lì con le mani/ inchiodate nel grembo/ a guardare fissa la terra”.
È incontrovertibile che tutti coloro che avevano subito quella che era una vera e propria condanna, dovessero essere liberati, che si dovesse recuperare la centralità dell’essere umano sofferente, che egli dovesse essere preso in carico, rispettato e valorizzato. Ma la società e le istituzioni erano pronte ad accoglierlo? Era stato previsto un piano alternativo, delle realtà in grado di andare veramente incontro alle esigenze del malato e delle famiglie? La risposta è, duole dirlo, no, la società non era preparata al cambiamento e molte furono le situazioni di oggettiva difficoltà. La legge 180/78 in tema di “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori’, presentava il limite della mancata definizione dei servizi e presidi alternativi, mancava di linee guida per i professionisti del settore, si navigava in un mare aperto, anche se il modello fece scuola in Europa.
Fu in questo contesto che nacquero associazioni di volontariato, formate da uomini e donne, consci della necessità di dare una risposta alla richiesta di aiuto di queste persone lasciate a sé stesse, consapevoli che servivano non parole, ma azioni concrete ed efficaci. Una di queste fu l’associazione “Solidarietà e rinnovamento” fondata l’11 giugno 1991 da Angela Nisticò che Emmeavideopoetry intervista