4 NOVEMBRE. COSA RESTA DEL CORDOGLIO? LA GUERRA CON GLI OCCHI DI UN SOLDATO

Di Antonella Pederiva .

4 Novembre. Nel giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate, io e Marco, di Emmea Video&Poetry, vogliamo ricordare tutti i soldati morti per combattere una guerra assurda, vogliamo ricordare tutti quei giovani mandati a colpire altri giovani come loro, strappati alle loro terre e al loro futuro, vorremmo farlo con delle poesie di Giuseppe Ungaretti e di Salvatore Quasimodo che raccontano il loro stato d’animo, che ne raccontano lo strazio, che parlano di uomini e del nostro destino.

UNGARETTI:

SOLDATI

Si sta come

d’autunno

sugli alberi

le foglie

Come può sentirsi un uomo al fronte, sotto le bombe, ignaro del suo destino? Come le foglie d’autunno, basta un colpo di vento e la terra ti accoglie.

FRATELLI

Di che reggimento siete

fratelli?

Parola tremante

nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante

involontaria rivolta

dell’uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli

Siamo tutti fratelli, e il vostro dolore è il nostro, lontani da casa, dai nostri affetti, dalle nostre vite. Fratelli.

VEGLIA

Un’intera nottata

buttato vicino

a un compagno

massacrato

con la sua bocca

digrignata

volta al plenilunio

con la congestione

delle sue mani

penetrata

nel mio silenzio

ho scritto

lettere piene d’amore

Non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita

L’orrore di vedere ucciso un compagno, l’anima che si strazia, la consapevolezza di poter essere il prossimo a morire.

SAN MARTINO DEL CARSO

Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto

Ma nel cuore

nessuna croce manca

È il mio cuore

il paese più straziato

Nessuna croce manca, nessuno può essere dimenticato, la guerra uccide anche nel cuore.

QUASIMODO:

UOMO DEL MIO TEMPO

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero

i padri, come ucciserogli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

Quando il fratello

disse all’altro fratello:«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue

Salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

Siamo sempre gli stessi. Non impariamo mai dai nostri errori. Riempiamo pagine di libri di storia e su quelle pagine versiamo lacrime destinate presto ad asciugarsi al vento dell’ipocrisia. Come faremo a spezzare, finalmente, la catena? Come cessare di tramandarci l’odio? Dimenticate i padri, le loro tombe affondino nella cenere.