di Antonella Pederiva

Durante di Alighiero degli Alighieri, noto con il solo nome DANTE, della famiglia Alighieri (Firenze, tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 – Ravenna, notte tra il 13 e il 14 settembre 1321) poeta, scrittore, studioso di filosofia e teologia e politico italiano, iniziò la stesura del suo capolavoro, la Comoedia, come lui stesso la chiamò, probabilmente, intorno al 1307.
La cronologia dell’opera è incerta, ma si presume che l’Inferno sia stato concluso intorno al 1308, il Purgatorio intorno al 1313, e il Paradiso nel 1321 pochi mesi prima della morte.
Fu Giovanni Boccaccio che, in un trattato in sua lode, usò per primo il termine “divina” e, in seguito, anche il letterato Ludovico Dolce che, nel 1555, curò la terza edizione a stampa del poema e che, in questo modo, voleva far risaltare sia l’argomento sacro sia l’eccezionalità dell’opera. Tradotta in molteplici lingue straniere, “La divina Commedia“, universalmente considerata la più grande opera scritta in lingua italiana, è uno dei testi poetico-letterari più letti, studiati e commentati al mondo e, sicuramente, uno dei maggiori capolavori della letteratura mondiale.
Riconosciuto come il padre della lingua italiana, “Il sommo poeta” spaziò dalla produzione poetica, come le Rime, a quella filosofica, come il Convivio e la Quaestio de aqua et terra; dal trattato politico, come il De Monarchia, a quello linguistico-letterario, come il De vulgari eloquentia.
INFERNO – CANTO III
GLI IGNAVI
[…]E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi: “Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?”.
Ed elli a me: “Questo misero modo
tengon l’anime triste di coloro
che visser sanza infamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
delli angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli”.
E io: “Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?”.
Rispuose: “Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ‘nvidïosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.
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