EMILIO SALGARI TRA REALTÀ E FANTASIA

Di Antonella Pederiva

Tre lettere, le ultime parole di un uomo che scrisse più di 80 romanzi e circa 150 racconti. Tre lettere a corredo di un addio tragico, assurdo, disperato. Una di queste lettere era stata meditata e scritta per i suoi editori: “A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna”. Un’accusa forte ad accompagnare l’ultimo atto di una vita vissuta ai margini, come spesso è successo e succede a tutti i grandi letterati ed artisti. È proprio necessario morire per vedere riconosciuto il proprio talento e il proprio genio? Salgari non è sicuramente il primo ad essersi arrampicato sugli specchi per sbarcare il lunario mentre le sue mani e la sua mente concepivano capolavori destinati all’immortalità. Mentre il suo Sandokan combatteva per la giustizia e sconfiggeva impavido il male, Salgari soccombeva sotto l’ala sinistra dei conti da pagare, delle spese da sostenere per mantenere la sua famiglia, i suoi quattro figli, e soffriva, soffriva in silenzio. La malattia della figlia Fathima e l’internamento dell’amatissima moglie Ida in manicomio, struttura in cui non avrebbe mai dovuto entrare, dove, ai nostri giorni, non sarebbe entrata mai, gli diedero, molto probabilmente, il colpo di grazia.

Il 25 aprile 1911, se ne andava uno scrittore intramontabile che affascinerà la fantasia di grandi e piccini attraverso i decenni, arrivando fino ai nostri tempi, uno scrittore moderno che, ricordiamolo, seppe rivalutare anche il ruolo della donna, assegnandole un ruolo di primissimo piano nella letteratura avventurosa e sorpassando lo stereotipo di fanciulla in perenne attesa dell’amato. No, le sue donne sono guerriere, eroine dotate di personalità e carisma, forti ma nel contempo romantiche. Per loro, Salgari, conierà nomi affettuosi, La Perla di Labuan, Il Fiore delle Perle, La Gemma del Fiume Rosso, La Perla di Manila, La Rosa del Dong Giang, La Stella dell’Araucania, ma le descriverà come donne capaci di badare a sé stesse e di difendersi anche da sole. “Sono ormai un vinto. La malattia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie. Io spero che i milioni di miei ammiratori che per tanti anni ho divertito e istruito provvederanno a voi. […] Mantenetevi buoni e onesti e pensate, appena potrete, ad aiutare vostra madre. Vi bacia tutti col cuore sanguinante il vostro disgraziato padre”, scriverà nella sua lettera d’addio ai figli. E possiamo soltanto immaginare lo strazio che gli sarà costato scriverla. A noi, ha lasciato un patrimonio non indifferente, pagine e pagine di sogni che ci hanno fatto volare con la fantasia in luoghi esotici e lontani, descrizioni e avventure che ci hanno accompagnati illuminando di mistero i nostri giorni. A lui va il nostro grazie per essere nato, quel lontano 21 agosto del 1862, per essere esistito, per aver deciso di scrivere, per essersi donato a noi. Auspichiamo, anche ai nostri tempi, editori migliori, critici illuminati, persone in grado di riconoscere e di premiare il talento ancora in vita….

Da “Le tigri di Mompracem”:

“Mi si venga a cercare qui, in mezzo alla natura selvaggia […] Incontreranno la Tigre libera, pronta a tutto, risoluta a tutto.

Solchino pure, i loro furfanti incrociatori, le acque dell’isola; lancino pure i loro soldati attraverso le boscaglie; chiamino pure in loro aiuto tutti gli abitanti di Vittoria, io passerò egualmente fra le loro baionette ed i loro cannoni. Ma ritornerò in breve, o fanciulla celeste, te lo giuro, ritornerò qui, alla testa dei miei valorosi, non da vinto, ma come vincitore e ti strapperò per sempre da questi luoghi esecrati!”