Di Antonella Pederiva
Una poesia che verte sulla parola, che frantuma i discorsi. Parole chiave efficaci che supportano una lirica essenziale, pura, che nasce da un istinto innato, da un “cogliersi” interiore, superbamente espresso. È questa la poesia di Giuseppe Ungaretti, il poeta che anticipa l’ermetismo, che è l’ermetismo. Conoscere la poesia di Ungaretti e innamorarmene fu un tutt’uno per l’adolescente che ero, i suoi versi furono rivelazione. Se amo la poesia e ho scelto di esprimermi attraverso di essa, io lo devo principalmente a questo uomo. In realtà la poesia faceva già parte della mia vita quando lo lessi per la prima volta. Fin da piccola, grazie anche ad una maestra accorta che non ringrazierò mai abbastanza, ero affascinata dai versi. Adoravo Leopardi, ero vicina ai suoi tormenti, ma Ungaretti fu la svolta. Esprimere un sentimento, un’emozione, un concetto attraverso l’uso delle metafore, stravolgendoli per renderli ancora più incisivi, più efficaci, più penetranti, costruire su simboli, su frammenti di pensieri e di vissuto, su intuizioni. Meraviglia! Tutto passa in secondo piano di fronte alla testimonianza della sua opera. Passa in secondo piano la sua vita, la sua biografia, le sue scelte politiche, tutto di Ungaretti si evince da ciò che scrisse, autentici capolavori destinati all’immortalità. E allora, per ricordarne la nascita, l’8 febbraio 1888, lascio solo parlare la poesia.
(da “Il taccuino del vecchio”, 1960)
Stralci da:
ULTIMI CORI PER LA TERRA PROMESSA
Agglutinati all’oggi
I giorni del passato
E gli altri che verranno,
Per anni e lungo secoli
Ogni attimo sorpresa
Nel sapere che ancora siamo in vita,
Che scorre sempre come sempre il vivere,
Dono e pena inattesi
Nel turbinio continuo
Dei vani mutamenti.
Tale per nostra sorte
Il viaggio che proseguo,
In un battibaleno
Esumando, inventando
Da capo a fondo il tempo,
Profugo come gli altri
Che furono, che sono, che saranno.
Se nell’incastro d’un giorno nei giorni
Ancora intento mi rinvengo a cogliermi
E scelgo quel momento,
Mi tornerà nell’animo per sempre.
La persona, l’oggetto o la vicenda
O gli inconsueti luoghi o i non insoliti
Che mossero il delirio, o quell’angoscia,
O il fatuo rapimento
Od un affetto saldo,
Sono, immutabili, me divenuti.
Ma alla mia vita, ad altro non più dedita
Che ad impaurirsi cresca
Aumentandone il vuoto, ressa di ombre
Rimaste a darle estremi
Desideri di palpito,
Accadrà di vedere
Espandersi il deserto
Sino a farle mancare
Anche la carità feroce del ricordo?
[…]
Se una tua mano schiva la sventura,
Con l’altra mano scopri
Che non è il tutto se non di macerie.
È sopravvivere alla morte, vivere?
Si oppone alla tua sorte una tua mano,
Ma l’altra, vedi, subito t’accerta
Che solo puoi afferrare
Bricioli di ricordi.
Sovente mi domando
Come eri ed ero prima.
Vagammo forse vittime del sonno?
Gli atti nostri eseguiti
Furono da sonnambuli, in quei tempi?
Siamo lontani, in quell’alone d’echi,
E mentre in me riemergi, nel brusio
Mi ascolto che da un sonno ti sollevi
Che ci previde a lungo.
Ogni anno, mentre scopro che Febbraio
E’ sensitivo e, per pudore, torbido,
Con minuto fiorire, gialla irrompe
La mimosa. S’inquadra alla finestra
Di quella mia dimora d’una volta,
Di questa dove passo gli anni vecchi.
Mentre arrivo vicino al gran silenzio,
Segno sarà che niuna cosa muore
Se ne ritorna sempre l’apparenza?
O saprò finalmente che la morte
Regno non ha che sopra l’apparenza
[…]
Da quella stella all’altra
Si carcera la notte
In turbinante vuota dismisura,
Da quella solitudine di stella
A quella solitudine di stella.
Rilucere inveduto d’abbagliati
Spazi ove immemorabile
Vita passano gli astri
Dal peso pazzi della solitudine[…]