GLI UOMINI CHE SI VOLTANO E LA POETICA DI MONTALE

di Antonella Pederiva .

fotomontaggio da immagini web

“[…] Codesto solo oggi possiamo dirti,ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, (“Non chiederci la parola” da “Ossi di seppia”).

L’unica certezza è l’incertezza per EUGENIO MONTALE. Fugge dalla presunzione di avere ogni risposta, il poeta, fugge dall’inganno delle verità assolutiste ed assolute. È lontano, Montale, dalla supponenza di certi poeti aulici che, dall’alto della loro tecnica, dispensano parole distanti dalla realtà e dai sentimenti del quotidiano. Lo scopo della poesia non è forse toccare le corde del cuore dell’Uomo e dar voce alle emozioni di ognuno, simboleggiando qualcosa di più profondo?

“Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta Anguilla […]” (“I limoni” dalla raccolta “Ossi di seppia”)

Il riferimento a D’Annunzio è evidente anche se dall’Immaginifico, prende a spunto, proprio in questa poesia, alcuni riferimenti, adattandoli e quasi sfidandoli su un terreno più umano e meno aristocratico, contrapponendogli una prospettiva esistenziale più rappresentativa della condizione umana. E cos’è l’uomo se non cambiamento, cosa la vita se non trasformazione o lenta evoluzione? Si muta, e il nostro mutare non sempre si accompagna. A volte resta solo. A volte lo era già. “Probabilmente non sai più chi sei stata, ed è giusto che sia così”. Camminiamo incolonnati, altro non possiamo, anche se, scendendo le scale, noi, soli viventi tra cadaveri in maschera, vedemmo qualcosa di diverso. Fu quell’attimo in cui capimmo di essere il centro a cui si tira con l’arco dal baraccone. Quel baraccone che ci stritola e ci chiude, prigionieri di un ingranaggio più potente di noi.

di Eugenio Montale:

GLI UOMINI CHE SI VOLTANO

Probabilmente

non sei più chi sei stata

ed è giusto che così sia.

Ha raschiato a dovere la carta a vetro

e su di noi ogni linea si assottiglia.

Pure qualcosa fu scritto

sui fogli della nostra vita.

Metterli controluce è ingigantire quel segno,

formare un geroglifico più grande del diadema

che ti abbagliava.

Non apparirai più dal portello

dell’aliscafo o da fondali d’alghe,

sommozzatrice di fangose rapide

per dare un senso al nulla. Scenderai

sulle scale automatiche dei templi di Mercurio

tra cadaveri in maschera,

tu la sola vivente,

e non ti chiederai

se fu inganno, fu scelta, fu comunicazione

e chi di noi fosse il centro

a cui si tira con l’arco dal baraccone.

Non me lo chiedo neanch’io. Sono colui

che ha veduto un istante e tanto basta

a chi cammina incolonnato come ora

avviene a noi se siamo ancora in vita

o era un inganno crederlo. Si slitta.

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