di Antonella Pederiva
Fu quando mi accorsi
che c’ero io
nella bolla da cui cadeva la neve
che mi colse lo sgomento.
Appoggiai le mani
sulla nuda plastica
cercando invano una via d’uscita.
Ma la neve continua a cadere
scossa da forze
che non riuscivo a fermare
e mi ritrovai a terra
madido di sudore e di pianto
consapevole finalmente
della mia prigionìa,
spogliato completamente
della mia arroganza.
Alzai il capo
per vedere di riuscire almeno
a scorgere un raggio di sole
ma il cielo sembrava velato
da oscure nuvole minacciose.
“Così è così”, pensai,
“che si sente il leone in gabbia
lontano dalla sua terra
e dalle sue abitudini,
dalla sua famiglia e dai suoi affetti.
Così è così che si sente
il canarino
costretto per sempre
a cantare la sua pena”.
Andai dai miei amici
e li chiamai, li implorai
ad uno ad uno,
ma erano troppo indaffarati
a plasmare pupazzi
per accorgersi di me.
La mano continuava intanto
a scuotere la bolla.
Antonella Pederiva ©