Di Antonella Pederiva
Comincia con lo scrivere il tuo nome,
perché ne resti traccia, qualche segno di grafite
risonante nel bianco. Con poche lettere
sigla decenni di storia, il silenzio
della pagina pronto a spalancarsi,
ad accogliere e disperdere.
Spicca nel bianco e non è più bianco
ma voce la matita che attraversa il foglio,
e goccia a goccia qualcosa cede e ti si allarga dentro:
Pierluigi, e dopo Cappello, in un sussurro un nome;
e dentro un nome, l’uomo che non concede a sé
i suoi stessi lineamenti, protetti da un’ottusità misericordiosa.
Leggero, come la cenere. Fresco, come l’aria fra le dita.
Scomparso, come una nuvola.
È con questa poesia, “Oggi. Scrivere il nome” che voglio iniziare il mio ricordo di Pierluigi Cappello, proprio oggi, 8 agosto 2023, a sei anni esatti dal suo addio al mondo, così come lo conosciamo. Parlare di un poeta, soprattutto per un poeta, è impresa ardua. Per il poeta, parla la sua poesia, parlano i suoi versi, parlano le parole che, come un ricamo, nascono dal volteggiare lesto, eppure leggero, della mano. Segni che raccolgono pensieri, pensieri che raccolgono emozioni, stati d’animo, frutti maturi di sentimenti, di gioia, dolore, rabbia, impotenza, frustrazione, sprazzi di sereno e nuvole, tuoni imponenti e battiti d’ali di farfalla. Il poeta si conosce attraverso il suo poetare, attraverso ciò che sa esprimere, nel sapore dolce e amaro che la sua lettura lascia nel cuore. Solo dopo aver letto tutte le sue poesie si deve leggere la sua biografia, per non essere condizionati dal suo curriculum, dalla sua fama, dai premi ricevuti, dal suo stato sociale ed umano. Non è il nome che fa il poeta, è il poeta che lascia il suo nome. Così capita che uno sconosciuto sappia conquistare la tua anima, che nel suo sentire tu senta scorrere arte pura, genuino talento. Prima di leggere Pierluigi, e dopo Cappello, mi capitò, un giorno di leggere questa lirica:
Ma io, che fino adesso sono stato baciato
soltanto dalla tempesta, amore mio,
che fino adesso sono rimasto solo e secco,
un nocciolo secco senza il suo pomo intorno,
che la solitudine di te, la tua alla mia
meno leggera, mi è arrivata addosso,
dove trovarla adesso la forza,
e quale e come il fuoco di guardarti
o di guardare dove non ci sia amore?
Tuono che scuote, parole che rivelano un turbamento d’anima, il turbamento di un amore impossibile, quella forza che viene a mancare quando il senso di solitudine e d’impotenza ti invade fin nel profondo di te. Pochi versi, ma prorompenti come un temporale d’estate. Solo dopo aver provato la freschezza della pioggia in una giornata di sole bruciante, si può dare un nome alla pioggia. Così Pierluigi si scopre, si scopre la sua storia, storia di un ragazzo che corre verso la vita e verso il futuro fermato dal destino, o dal caso, o dall’imprudenza umana. Succede in un attimo, così senza preavviso e l’esistenza ne è travolta, basta così poco, così poco. Chi ha empatia, può capire come le anime si tocchino anche senza conoscersi, anche senza mai incontrarsi. Pierluigi è uomo poeta che non nasce dalla sua disgrazia; nessuno si improvvisa poeta, il vero poeta è poeta dalla nascita, la poesia è il suo istinto vitale, il motore di tutte le sue azioni, di ogni battito di cuore, è poesia il bene e il male che ti avvolge, ti avviluppa a sé, ti carezza e ti stritola. Il mio ricordo di Cappello, finisce qui, ma continua, libro da leggere e rileggere, traccia di grafite che non si scolora. È il miracolo della scrittura, dell’arte, quel diamante dal valore inestimabile, barattato dalla modernità con bigiotteria di latta, che scopriremo, un giorno, essere stato luce indispensabile al nostro vivere.