POSSIAMO ANCORA PARLARE DI EMERGENZA?

Di Antonella Pederiva

Dopo quasi due anni, possiamo ancora parlare di emergenza? Possiamo essere ancora in difficoltà ad affrontare una realtà che conosciamo da due anni? Possiamo ancora non aver messo in campo le necessarie strategie per arginare una cosa non più sconosciuta? Centri tamponi intasati, assembramenti ed affollamento, nessuna corsia preferenziale, positivi e negativi indifferentemente insieme, mancanza di screening per gli studenti venuti a contatto con compagni positivi, al massimo quarantena fiduciaria e, se va bene, tampone rapido prima del rientro. Avete capito bene, sì. TAMPONE RAPIDO. Lo stesso che fu demonizzato per cercare di fare desistere i non vaccinati dalla loro sciocca idea di restarlo. Lo stesso però che lo Stato usa per diffondere i dati dei suoi notiziari quotidiani, lo stesso che viene usato per ricavare l’Rt con il quale vengono prese decisioni di chiusura o apertura e le differenziazioni attraverso zone. Lo stesso che ora si vuole adottare per testare i vaccinati, lo stesso che si vuole usare per il personale sanitario vaccinato, lo stesso, però, che non è ritenuto valido per reintegrare i medici ed infermeri sospesi dal servizio. Quei medici che, è evidente, mancano alla Sanità, visto che l’organico in atto non riesce a fare fronte alle richieste dei cittadini. Cittadini sempre più spaesati e sempre più coscienti, si spera, (senza entrare in merito di decisioni rivelatesi fallimentari), che le forze messe in campo erano e sono insufficienti, che, nemmeno in tempo di pandemia, si è saputo investire in un settore da sempre bistrattato, da sempre tenuto in scarsa considerazione, da sempre teatro di tagli economici. Se, dopo due anni, un cittadino rischia di contrarre il virus nello stesso luogo che dovrebbe rassicurarlo (e, spesso, a sue, laute, spese) sulla sua negatività, siamo alla frutta.