Immaginiamo per un istante di non essere sdraiati sui nostri divani o sui nostri giacigli morbidi ma di essere la madre o il padre del bambino della foto. Immaginiamo che quel bimbo sia il nostro bimbo che nel suo pigiamino colorato dorme beato tra le lenzuola fresche e profumate di bucato che abbiamo stirato alla perfezione per lui. Quanto dolore saremmo capaci di sopportare? Quanto vorremmo consolarlo e avere superpoteri per portarlo lontano da tutto ciò che sta patendo, non per sua colpa, nemmeno per la nostra, che non abbiamo scelto di nascere in un paese di guerra, dove qualcuno un giorno ha deciso che non eravamo più uomini ma bersagli e pedine nelle mani di potere, interessi, fanatismo e di giochi politici. Noi non lo volevamo. Volevamo solo vivere sereni nelle nostre case, con le poche cose che avevamo ma che ci erano familiari. Ci hanno bombardati, hanno distrutto e cancellato le nostre storie, abbiamo perso le nostre radici, e siamo qui, dove stavamo cercando di ritrovare fiducia nell’uomo, nella gente, nel prossimo. Dove cercavamo di trovare un futuro, per noi e per questo nostro figlio. Abbiamo cercato di cancellare dai suoi occhi il fuoco delle esplosioni e le immagini della devastazione, ci illudavamo di poterlo fare, ma no, rieccole, riecco gli incubi che ritornano. Ed hanno gli occhi della morte, che ci insegue, ovunque, riecco il nemico che non ci dà tregua, che non conosce pietà né compassione. E vorremmo asciugarti le lacrime, figlio, ma non ne siamo capaci. Qualcuno forse potrebbe, ma non fa. In Europa cercavamo fratelli, nell’Europa cercavamo speranza. Ora, Europa, sei pure tu carnefice, pure tu ci hai maledetti. Cos’altro possiamo invocare? Non siamo forse anche noi Uomini?