Di Antonella Pederiva
Il primo scrittore non europeo a ricevere il premio Nobel per la Letteratura, nel 1913, scrittore, musicista (ha composto l’inno nazionale indiano e quello del Bangladesh), filosofo, pittore, mistico ma anche attivista politico e sostenitore dell’indipendenza indiana dall’Impero britannico, seppur indirizzato verso una coesione pacifica delle diverse culture, Rabíndranáth Thákhur nome originario trasformato da lui stesso in forma anglicizzata, in Rabindranath Tagore, nasce a Calcutta il 7 maggio 1861, anche se alcune fonti riferiscono il 6. Una produzione, la sua, volta a contemplare l’infinito, a cercare il significato dell’esistenza nella riconciliazione con l’universo. Temi ricorrenti di tutta la sua opera, l’amore, il dolore, la solitudine, la natura, l’incontro con Dio, il significato della vita e della morte, l’esortazione a non sprecare il presente in attesa del futuro. Vorrei ricordarlo con una sua poesia che mi piace commentare così :
Ci sono cose che sono in noi da tanto tempo e noi non ce ne siamo mai curati. Poi improvvisamente la loro fragranza arriva a noi. Inaspettatamente. Prepotentemente. Ma con la dolcezza di un fiore. E non possiamo più essere gli stessi.
IL GIORNO IN CUI
di Rabindranath Tagore
Il giorno in cui fiorì il loto,
ahimè, la mia mente era persa
e io non me ne accorsi.
Il mio cestino rimase vuoto
e il fiore inosservato.
Ogni tanto però
una tristezza mi prendeva
mi svegliavo dal mio sogno
e sentivo nel vento del sud
la presenza dolce di una strana fragranza.
Quella vaga dolcezza
come desiderio tormentava il mio cuore
sembrava l’alito ardente dell’estate
in cerca di soddisfazione.
Non sapevo allora
che era così vicina
che era già mia
che questa dolcezza perfetta
era fiorita
nel profondo del mio cuore.