LA LEZIONE DI ANTIGONE

Di Antonella Pederiva

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“Creonte:

Hai potuto spezzare norme mie?

Antigone:

Ah sì. Quest’ordine non l’ha gridato Zeus, a me; né fu Diritto, che divide con gli dèi l’abisso, ordinatore di norme come quelle, per il mondo. Ero convinta: gli ordini che tu gridi non hanno tanto nerbo da far violare a chi ha morte in sé regole sovrumane, non mai scritte, senza cedimenti. Regole non d’un’ora, non d’un giorno fa. Hanno vita misteriosamente eterna. Nessuno sa radice della loro luce. E in nome d’esse non volevo colpe, io, nel tribunale degli dèi, intimidita da ragioni umane. Il mio futuro è morte, lo sapevo, è naturale: anche se tu non proclamavi nulla. Se prima del mio giorno morirò, è mio interesse, dico: uno che vive come me, tanto in basso, e soffre, non ha interesse nella fine? E così tocca a me: fortuna, di quest’ora di morte, non dolore. Lasciassi senza fossa, per obbligo, la salma, quel frutto di mia madre spento, quello era dolore: ma il mio presente caso, ah no, non m’addolora. Logica idiota, penserai. Chissà. Forse è l’accusa d’idiozia idiota.”

Mi è tornata alla mente la tragedia di Sofocle, mentre ripensavo ai tanti casi di pietà in netto contrasto con le leggi di Stato, all’eterno dilemma se seguire la legge del cuore o la legge imposta dal governante di turno, dall’autorità e dal potere, alla differenza che intercorre tra leggi ispirate dal divino e leggi dell’Uomo. Per chi non conoscesse la storia, nel dramma del grande tragediografo greco, Antigone è la figlia di Edipo, re di Tebe, e sorella di Eteocle e Polinice, entrambi morti, dopo essersi uccisi a vicenda, nella guerra che aveva visto contrapposte Argo e Tebe (la cosiddetta Guerra dei Sette). Il nuovo re, lo zio Creonte, mediante un editto, ordina che solo Eteocle venga seppellito, indicando Polinice come traditore della patria.

Antigone si oppone invocando invano le leggi divine, che proclamano e ribadiscono l’uguaglianza di tutti gli uomini al cospetto di Dite, dio degli Inferi, assimilato al greco Plutone, uno dei nomi eufemistici con cui viene chiamato Ade. Inascoltata, la giovane decide di trasgredire, coprendo il corpo del fratello con la sabbia.

Purtroppo scoperta, la giovane viene condannata dal re a vivere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta. Grazie all’intercessione dell’indovino Tiresia, Creonte sceglie di liberarla, ma è già troppo tardi: Antigone ha preferito la morte per impiccagione alla dura condanna. Il dolore per la perdita dell’amata conduce al suicidio anche Emone, figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone, e la madre Euridice. Solo dopo tanta disperazione, Creonte s’accorge di essere rimasto solo con la sua miseria.

La legge umana, purtroppo, è fallace, segue principi dettati da valutazioni umane, rappresentate da uomini condizionati da eventi attuali, legati ad una morale in continuo cangiamento. Ciò che fu giusto per gli antichi non trova giustizia oggi. Ciò che è giusto in alcune culture per altre è profondamente immorale. Nella nostra cultura cristiana, noi abbiamo un grande rappresentante di questa trasgressione. Il suo nome è Gesù.

Gesù, infatti, fu fuorilegge in molte situazioni: guarì nel giorno di sabato, ebbe contatti con persone impure (pensiamo alla Samaritana al pozzo) operò, insomma, chiaramente contro la Legge del Sinedrio, anteponendo alla legge la misericordia. Questa riflessione ci riporta alla “Coscienza” che si interroga e si impegna a cercare una giustizia che si fondi sull’applicazione di un diritto che non può basarsi solo su ciò che è codificato, ma su ciò che è colto come rispettoso della dignità dell’Uomo. Non esiste legge migliore del rispetto, nel “non fare all’altro ciò che non vuoi sia fatto a te” o nel “fai al tuo prossimo ciò che vuoi sia fatto a te”, in un’etica della reciprocità che non ha regole umane scritte, né epoche, né confini.