RICORDANDO SALVATORE QUASIMODO

Di Antonella Pederiva

Dammi il mio giorno;

ch’io mi cerchi ancora

un volto d’anni sopito

che un cavo d’acque

riporti in trasparenza,

e ch’io pianga amore di me stesso.

Ti cammino sul cuore,

ed è un trovarsi d’astri

in arcipelaghi insonni,

notte, fraterni a me

fossile emerso da uno stanco flutto;

un incurvarsi d’orbite segrete

dove siamo fitti

coi macigni e l’erbe.

Salvatore Quasimodo fonte web

È con questa poesia che vorrei iniziare il mio ricordo del Maestro Salvatore Quasimodo nel giorno della sua nascita. Una poesia tratta dalla raccolta “Oboe sommerso” del 1932, con la quale si conferma primogenito di una corrente che verrà definita “ermetica”, contendendosi il primato con il “Sentimento del tempo” di Giuseppe Ungaretti, che pubblicherà la sua opera, però, solo un anno dopo, nel 1933, e con Alfonso Gatto (poeta che strizzerà l’occhio anche al surrealismo) che invece pubblicò la sua “Isola” nello stesso anno. Una poesia, quella ermetica, che stravolge la concezione di quel tempo, di quel periodo, che oscura il significato ma che, nello stesso tempo, lo rende sublime espressione di un linguaggio che, attraverso le metafore e le figure retoriche, attraverso gli spazi bianchi, le pause, i silenzi, dona ai versi una musicalità nuova, un ritmo essenziale e piacevole all’orecchio. I versi di Quasimodo affascinano e conducono il lettore sui sentieri di sentimenti, come l’amore, il dolore, la morte che nelle liriche si trasfigurano in immagini poetiche di assoluto valore raffigurativo. Ma la poesia è anche ricerca, viaggio verso nuovi lidi espressivi e nuove forme e Quasimodo, con gli anni, si aprirà anche a nuovi progetti, a forme diverse più vicine al reale e alla gente, i versi della sua raccolta “Nuove poesie”, poesie dal 1936 al 1942, si faranno più discorsivi, di comprensione più immediata, si farà più accentuata la descrizione del paesaggio e della natura e della sua terra di Sicilia. “L’alto veliero” è forse la poesia più onirica di tutte, ed è un tenero dialogo con l’amata, quella seconda moglie, Maria Cumani, che sarà finalmente, negli ultimi anni, rivalutata come poetessa oltre che come danzatrice e che sarà per tanti anni musa ispiratrice del poeta.

L’alto veliero

Quando vennero uccelli a muovere foglie

degli alberi amari lungo la mia casa,

(erano ciechi volatili notturni

che foravano i nidi sulle scorze)

io misi la fronte alla luna,

e vidi un alto veliero.

A ciglio dell’isola il mare era sale;

e s’era distesa la terra e antiche

conchiglie lucevano fitte ai macigni

sulla rada di nani limoni.

E dissi all’amata che in sé agitava un mio figlio,

e aveva per esso continuo il mare nell’anima

“Io sono stanco di tutte quest’ali che battono

a tempo di remo, e delle civette

che fanno il lamento dei cani

quando è vento di luna ai canneti.

Io voglio partire, voglio lasciare quest’isola”.

Ed essa: “O caro, è tardi: restiamo”.

Allora mi misi lentamente a contare

i forti riflessi d’acqua marina

che l’aria mi portava sugli occhi

dal volume dell’alto veliero.

Salvatore Quasimodo, Premio Nobel per la letteratura nel 1959, nacque a Modica il 20 agosto 1901. Morì a Napoli, il 14 giugno 1968, a soli 67 anni, a conseguenza di una trombosi cerebrale, lasciando un vuoto immenso nel panorama letterario internazionale.