di Antonella Pederiva
Quanto siamo tutti quanti pronti a scagliarci contro le imposizioni, le costrizioni, la negazione dei nostri diritti? Quanto ci scandalizziamo di fronte a ciò che crediamo essere una privazione della nostra libertà? Quante parole spendiamo per scagliarci contro le ingiustizie di un mondo avviato verso un cinismo diffuso, verso un capitalismo sfrenato, verso l’accentuazione, sempre più evidente, delle disparità sociali ed economiche? Quanto contribuiamo noi stessi a creare le condizioni di disparità, quanto il nostro comportamento influisce nel favoreggiamento di queste ingiustizie sociali? Prima di fare un acquisto on line, magari per i regali di Natale, o farvi recapitare l’ultimo libro, il vestito trendy o la lampada per il vostro comodino, pensateci bene. Pensate a tutto ciò che muovete con un semplice gesto. Perché il vostro semplice gesto può, spesso, influire sulla vita di qualcun altro, può favorire o sfavorire quell’economia di cui abbiamo tanto bisogno per vivere. I colossi delle vendite online dipingono, spesso, un mondo meraviglioso e armonioso nelle loro aziende, un mondo felice e tranquillo, fatto di dipendenti sereni e appagati, ma addentrandosi più nel profondo, le testimonianze delle condizioni di lavoro dei dipendenti sembrano descrizioni partorite da registi da film horror. Nel 2013 la BBC e nel 2015 il New York Times, con esaustive inchieste, descrivevano le condizioni inumane a cui erano costretti i lavoratori e le lavoratrici: guidati da regole aziendali i lavoratori venivano spinti al limite delle proprie capacità fisiche e mentali per rispettare tempi sempre più corti, regolamenti che sembravano scritti da personal trainer con qualche disturbo psicologico, algoritmi simili ai videogames. I laboratori lamentavano più di 80 ore a settimana, pause ridotte al minimo, corse tra i corridoi per raggiungere un certo numero di pacchi in minor tempo possibile, con conseguente rischio di infortunio, (fuori da alcuni magazzini sembra sostassero ambulanze per chi dovesse sentirsi male). Uno sfruttamento selvaggio che ritroviamo ancora oggi, dopo qualche anno, e che porta allo stremo psicologico e fisico; testimonianze raccontano di lavoratori controllati attraverso l’apparecchiatura per riconoscere e marcare i pacchi da spedire, apparecchiatura legata al nome del lavoratore che la utilizza, in maniera che i capi possano controllare singolarmente quanto lavoro ha svolto e in quali tempi, con un allarme sonoro che scatta ogni volta che questi tempi non vengono rispettati. E poi contratti rinnovabili solo se si seguono regole ferree, non si fiata e si accetta a testa bassa lo sfruttamento, paghe non all’altezza, se si pensa al continuo stress fisico e mentale ai quali sono sottoposti i lavoratori e alla minaccia di non vedere rinnovato il contratto.Soprusi che sembrano impossibili nel 2020 ma che invece sono tristi realtà, non inedite nel panorama del settore logistico e commerciale dei grandi colossi. Un esempio su tutti? In Germania, nel 2013, un’inchiesta televisiva del canale ARD denunciava l’utilizzo di guardie private per controllare i lavoratori, guardie che in alcuni casi sembra abbiano anche usato violenza e intimidazione degna dei peggiori caporali mafiosi, addirittura andando a casa dei lavoratori stessi per intimorirli e umiliarli. Andando a spulciare negli archivi della testata Adnkronos, nel 2017, un corriere che lavorava per il colosso fondato da Jeff Bezos denunciava le condizioni dei lavoratori di Amazon con queste parole: «Dobbiamo fare in fretta, al minimo ritardo ci chiamano e ora, con Amazon Prime, i tempi si restringono ancora. I lavoratori di Amazon devono urinare in bottiglie di plastica piuttosto che andare in bagno durante i turni. Troppo distanti le toilette dalla piattaforma e non ci si può fermare per andare in bagno”. Naturalmente i colossi si difendono e continuano ad allettare i visitatori delle piattaforme con proposte sempre più appetibili, con promesse di consegne sempre più efficienti e puntuali. Ci chiediamo spesso cosa mai può fare un piccolo uomo per rendere migliore il mondo. Ecco. Iniziamo da qui. Iniziamo a fare noi la differenza, con le nostre scelte e con la nostra coscienza, alla quale, alla luce dei fatti, non possiamo più mentire. Scegliamo chi ha cuore e rispetto per i lavoratori. Scegliamo di favorire i negozianti onesti, le nostre piccole realtà, le opportunità etiche che il commercio propone. Anche da noi dipende la speranza di un mondo migliore.