PIER PAOLO PASOLINI. MONITO ED EREDITÀ

Di Antonella Pederiva

Ricordando Pier Paolo Pasolini, artista nella sua accezione più nobile, capace di eccellere in tutto ciò che faceva, poesia, letteratura, teatro, cinema, uomo di pensiero e di coscienza, fedele sempre ai suoi ideali, intrepido e coraggioso, soprattutto quando osava non cedere alle lusinghe della omologazione, quando alzava la voce attraverso le sue parole, attraverso film che sono rimasti alla Storia per l’intensità drammatica e spudoratamente reale dei suoi personaggi, strenuo difensore della parte più debole e maltrattata dell’Umanità. La sua morte, il 2 novembre 1975, difficilmente può dirsi casuale. Pasolini era scomodo a molti potenti, a molta gente che, da alti vertici, dirigeva affari sporchi, persone a cui l’apertura delle indagini che in tanti chiedono, risulta particolarmente sconveniente. Una cosa è certa, giustizia non è stata fatta, Pasolini è stato fatto tacere nella maniera più cruda e violenta, ma di lui ci resta un patrimonio immenso di Verità e di arte, moniti visionari come questi:

Non rinuncerò mai a nulla per la reputazione. Io spero che coloro che mi sono amici, o personali, o in quanto lettori, o come compagni di lotta (e nei cui occhi, lo so, cala un’ombra, ogni volta che la mia reputazione è in gioco: un’ombra che mi dà un dolore terribile) siano così critici, così rigorosi, così puri, da non lasciarsi intaccare dal contagio scandalistico: se così fosse, gli sconfitti sarebbero loro: se solo cedessero per un attimo e dessero un minimo valore alla campagna dei nemici, essi farebbero il gioco dei nemici. Non si lotta solo nelle piazze, nelle strade, nelle officine, o con i discorsi, con gli scritti, con i versi: la lotta più dura è quella che si svolge nell’intimo delle coscienze, nelle suture più delicate dei sentimenti.

(da “Vie Nuove” n. 51 del 28 dicembre 1961)

GLI ITALIANI

L’intelligenza non avrà mai peso, mai

nel giudizio di questa pubblica opinione.

Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai

da uno dei milioni d’anime della nostra nazione,

un giudizio netto, interamente indignato:

irreale è ogni idea, irreale ogni passione,

di questo popolo ormai dissociato

da secoli, la cui soave saggezza

gli serve a vivere, non l’ha mai liberato.

Mostrare la mia faccia, la mia magrezza –

alzare la mia sola puerile voce –

non ha più senso: la viltà avvezza

a vedere morire nel modo più atroce

gli altri, nella più strana indifferenza.

Io muoio, ed anche questo mi nuoce.