THE SKIES AL SANTOMATO LIVE CLUB

MAGIA TARGATA GENESIS

Di Antonella Pederiva

Inizia con il brano “Watcher of the skies”, “Osservatori del cielo”, il concerto dei “The Skies”, nome estrapolato chiaramente dal famosissimo brano dei Genesis, prima traccia dell’album Foxtrot del 1972, una metafora malinconica e amara sull’Umanità e sulla sua capacità di autodistruggersi. Non può essere un caso la scelta di questo brano ad aprire il concerto di una band tutta nuova nel circuito delle tribute band, ma formata da musicisti con alle spalle anni di esperienza e di professionalità. Approcciarsi ai Genesis, non è impresa facile; sicuramente dispendioso, in termini di impegno, rapportarsi con il primo periodo, quello epico, intenso e raffinato del progressive rock di Peter Gabriel e dei suoi compagni d’avventura.


Daniele Biagini alle tastiere, Marco La Grua alla chitarra, Claide Magrini alla batteria, Matteo Bellesi al basso, Luca Lombardi alla voce, ci riescono decisamente bene, le loro sonorità catturano, i riff di chitarra ripropongono atmosfere magiche, entrano nella pelle come i migliori assoli di Steve Hackett. Uno dopo l’altro i brani conducono su sentieri poetici di assoluto spessore, “Fly on a Windschild”, con il suo testo profetico su ciò che in sostanza è l’Uomo, “Afterglow”, la ballata triste e nel contempo dolce con la quale i Genesis spesso concludevano le loro esibizioni, “Ma ora, ora che ho perso tutto,
ti consegno la mia anima.
Il senso di tutto ciò in cui credevo prima
mi sfugge in questo mondo di assenza, di niente, di nessuno”. Parole attuali, il senso perso della vita, la ricerca di Qualcosa o Qualcuno al di sopra di ogni meschinità, “Ultimi bagliori di luce”. E poi “The carpet Crowler” con i suoi riferimenti biblici, ermetica e ipnotica, martellante con il suo “Got to get in to get out”, “Dobbiamo entrare per uscire”. “Anyway” con la tastiera che incalza su una riflessione che ogni uomo prima o poi è tenuto a fare sulla sua caducità, sul destino che lo aspetta, che aspetta ognuno, senza eccezioni. “Mantieni aperto l’incontro con il mio creatore!
Guardami mentre mi allungo
Lungo l’enorme elastico di Dio”. Testi mai banali, resi con incredibile maestrìa dagli strumenti e dalla voce, dai protagonisti di questa serata. “I know what I like” “So cosa mi piace” splendida metafora sul giudizio altrui, in tinta più pop, anticipazione forse del periodo Collins, ma straordinaria con quell’effetto sonoro meccanico di introduzione e di fine. E poi via via tutte le altre, “The Chambers of 32 Doors”, “Firth of Fifth”, capolavoro assoluto con un fantastico assolo di chitarra, che prende ogni corda del cuore. Niente da dire e da eccepire: “The Skies” superano ogni prova, ogni loro nota trasuda amore per la musica, amore per i testi che va oltre la bravura tecnica, necessaria certo, ma non fondamentale se non supportata dal sentimento.