PIER PAOLO PASOLINI. IL POETA, IL REGISTA, L’UOMO emmeavideopoetry Scritto il 2 Novembre 2022 Facebook Twitter Pinterest Di Antonella Pederiva Il 2 novembre 1975, muore assassinato uno dei maggiori poeti ed intellettuali di questo secolo, Pier Paolo Pasolini. Le circostanze della sua morte restano a tutt’oggi ancora un mistero. Verrà accusato un ragazzo di 17 anni che confesserà e verrà condannato ma che 30 anni dopo ritratterà tutto, dichiarando di essersi addossato la colpa per timore di ritorsioni, senza però fare i nomi dei presunti esecutori del delitto. Una cosa è certa, Pasolini era un uomo scomodo, che aveva osato scoperchiare tanti vasi di Pandora. Erano molti, a quel tempo, a trarre grande vantaggio dalla sua dipartita, politici, sia di destra che di sinistra, imprenditori, mafiosi. Una tragica fine che privò il mondo letterario di un artista unico, un poeta come ne nascono solo tre o quattro in un secolo, come disse un altro grande di quel tempo, Alberto Moravia, all’orazione funebre. “Una perdita irreparabile”, dirà Moravia, “un uomo profondamente buono, mite, gentile […] che aveva il coraggio di dire la verità. Uno buono come Pasolini sarà difficile trovarlo. Uno disinteressato, dall’assoluta mancanza di calcoli”. Pasolini era un uomo controcorrente, uno spirito libero, un regista che seppe guardare al mondo del sottoproletariato, alle borgate, da dove sperava potesse nascere un’ alternativa sociale, ma anche politica, a quella società capitalistica, che accusava di essere causa e principio di tutti i problemi dell’individuo. Come dimenticare “Mamma Roma” in cui una superba Anna Magnani recitava il ruolo di una prostituta e “Uccellacci Uccellini”, che vede come protagonista un incredibile Totò, insieme ad uno straordinario Ninetto Davoli?<br>Per i suoi film, autentici capolavori, verrà anche condannato, non solo dalla morale del tempo ma anche dalla giustizia penale e finirà per scontare anche l’umiliazione della prigione. Nei suoi scritti, tante verità, la capacità di guardare lontano, di vedere oltre. Nei suoi occhi, la visione di un mondo più umano, occhi capaci di scrutare le miserie umane, di diventarne partecipe, la missione di condurre gli altri a partecipare. Nessuno mai dovrebbe offendere un poeta, nessuno mai dovrebbe spegnerne la voce. La letteratura e l’arte, da quel 2 novembre, saranno per sempre orfane di un padre che avrebbe potuto dare loro, ancora, cibo e nutrimento….IL PIANTO DELLA SCAVATRICENella vampa abbandonata del sole mattutino – che riarde,ormai, radendo i cantieri, sugli infissiriscaldati – disperatevibrazioni raschiano il silenzioche perdutamente sa di vecchio latte,di piazzette vuote, d’innocenza.Già almeno dalle sette, quel vibrarecresce col sole. Povera presenzad’una dozzina d’anziani operai,con gli stracci e le canottiere arsidal sudore, le cui voci rare,le cui lotte contro gli sparsiblocchi di fango, le colate di terra,sembrano in quel tremito disfarsi.Ma tra gli scoppi testardi dellabenna, che cieca sembra, ciecasgretola, cieca afferra, quasi non avesse meta,un urlo improvviso, umano,nasce, e a tratti si ripete,così pazzo di dolore, che, umano,subito non sembra più, e ridiventamorbido stridore. Poi, piano,rinasce, nella luce violenta,tra i palazzi accecati, nuovo, uguale,urlo che solo chi è morente,nell’ultimo istante, può gettarein questo sole che crudele ancora splendegià addolcito da un po’ d’aria di mare…A gridare è, straziatada mesi e anni di mattutinisudori accompagnatadal muto stuolo dei suoi scalpellini,la vecchia scavatrice: ma, insieme, il frescosterro sconvolto, o, nel breve confinedell’orizzonte novecentesco,tutto il quartiere…E’ la città,sprofondata in un chiarore di festa,è il mondo. Piange ciò che hafine e ricomincia, Ciò che eraarea erbosa, aperto spiazzo, e si facortile, bianco come cera,chiuso in un decoro ch’è rancore;ciò che era quasi una vecchia fieradi freschi intonachi sghembi al sole,e si fa nuovo isolato, brulicantein un ordine ch’è spento dolore.Piange ciò che muta, ancheper farsi migliore. La lucedel futuro non cessa un solo istantedi ferirci: è qui, che bruciain ogni nostro atto quotidiano,angoscia anche nella fiduciache ci dà vita, nell’impeto gobettianoverso questi operai, che muti innalzano,nel rione dell’altro fronte umano,il loro rosso straccio di speranza.